Costa nord occidentale della Francia.
Un mattino di aprile. Mentre altrove, in luoghi a me più familiari,
il sole comincia ad intiepidire i volti e i cuori indifferenti di
industriosi e industriati individui simili a me, qui sembra novembre
inoltrato.
Vis-à-vis con l'Oceano, che in questa
località diventa Stretto di Manica ma largo di spruzzi salati. Dalle
scogliere che si intromettono tra le robuste onde, questi salgono a
me come acqua che battezza a nuova Vita; accompagnati dal loro
complice, un vento fresco e veloce che benevolmente scivola sul mio
viso incastrato tra il grigio plumbeo del cielo che mi sovrasta e
l'argento vivo dell'immensa distesa d'acqua che sta di fronte. Le
scure nuvole di sopra corrono libere, sembrano inseguire le bianche
onde di sotto. I Gabbiani, intonatissimi, compongono la loro melodia
e il battito delle loro ali dona ritmo al tutto.
Il Sole, da dietro le quinte, osserva
senza dir nulla, non è il suo show.
I miei occhi non vedono nessun umano
intorno a se', né pensano di cercarne qualcuno.
Mi sento come se fossi l'unico/ultimo
individuo della mia specie rimasto sul Pianeta, avvolto da una delle
sue innumerevoli meraviglie che annullano il tempo. Che Bellezza, che
Spettacolo!!!
Che ci faccio qui? Come ci sono
arrivato? Cosa mi ci ha portato?
Domande oziose, inutili in questo
momento.
Se per ottenere qualsiasi cosa ci
affidassimo esclusivamente alla razionalità, ben difficilmente i
risultati conseguiti corrisponderebbero all'intento iniziale, o
meglio, a quello che la mente suppone lo sia. La mente vuole “fare”,
presume di poter “fare”. Ma al massimo propone, mentre c'è
qualcos'altro che dispone. Bene, quel qualcos'altro, ci si creda o
no, convive con noi, dentro di noi, e nascosto da qualche parte
aspetta di essere scoperto.
Questo pensiero che percorre come una
di quelle nuvole la mia testa, racchiude in se' domanda e risposta,
inizio ed epilogo di questa strana storia.
“Che ci faccio qui?”. A dire il
vero, non è poi una domanda così inutile. Me la sono posta in un
giorno di ordinaria provincia del nord Italia. In un posto qualsiasi,
un bar, dove già dalle prime ore del mattino puoi leggere, se vuoi,
contemporaneamente: i disastri nazional-popolari sui quotidiani
freschi d'edicola, i fondi del caffè aggrappati al fondo della
tazzina fresca di lavastoviglie e la ricerca di una motivazione
plausibile per la nuova giornata, stampata a caratteri tipografici
negli occhi dei clienti, che entrano alla spicciolata, freschi di
sonno.
Soprattutto per i primi che entrano,
non è per nulla facile trovare tale motivazione. Non la cercano
negli occhi di chi prepara loro il caffè e gli serve sul piattino la
brioche profumata di zucchero a velo e burro industriale, non la
cercano nell'enorme specchio dietro il bar, dove si riflette la loro
stessa immagine vista di sfuggita pochi minuti prima nel bagno di
casa, neppure nelle indifferenze degli avventori “sconosciuti”,
anche se già visti le mattine precedenti, intenti a farsi i fatti
loro. Aspettano con ansia che la loro quotidiana motivazione entri
dall'ingresso, sotto forma di un amico di quelli soliti, il quale ha
il potere, semplicemente pronunciando un “ciao” o un “buongiorno”
esattamente nello stesso modo di sempre, di ricordargli che la sua
“motivazione odierna” è esattamente quella di ieri, ovvero
riuscire a sottrarsi il più possibile alle insidie nascoste nelle
incognite pieghe di una giornata in ufficio, in fabbrica o in altro
luogo ove la solita routine e le lancette sempre troppo lente del
giorno li condurranno a giusta sera, in balia di lancette fin troppo
veloci, che li condurranno quasi senza capire come, l'indomani, di
nuovo qui. L'amicale complicità che traspare da ogni loro discorso,
si snoda sinuosa tra le maestose onde delle lamentele che si spostano
freneticamente dal meteo, mai abbastanza aderente alla stagione in
corso, ai comportamenti fastidiosi e stronzi di intollerabili
colleghi d'ufficio o compagni di lavoro (non di rado originari di
“latitudini diverse” da quella dove scorre il Po), vere piaghe
cui nessuno trova mai rimedio efficace, non essendo in vigore nel
nostro stato la pena capitale. Trovarsi la mattina al bar e
dichiararsi d'accordo su ciò che va male, sono le fondamenta della
casa che diverrà la loro giornata. Sono i veri e propri architetti
della loro vita, e indipendentemente dal fatto che ne siano coscienti
o no, sembrano proprio degli architetti soddisfatti. Tant'è vero che
il giorno dopo sono di nuovo lì, a riprogettare una nuova
costruzione, il più possibile identica a quella del giorno prima.
Osservandoli non posso che provare
ammirazione. Non per le loro “costruzioni”, che comunque
rispetto, ma per l'amore che ci mettono nel progettarle. Senza amore,
amore vero, non costruisci nulla.
E' una cosa che a me manca, non lo
nascondo. Non riesco a concepire progetti come i loro.
Osservandoli vedo me stesso, nel mio
passato, quando la mia vita era uguale alla loro, fino al giorno in
cui ho capito che non avrei potuto continuare ad essere come loro.
Vedo la realizzazione da parte di altri, di un qualcosa che io non
sono capace di realizzare.
Una vita “regolare”, con delle
abitudini circoscritte all'interno di ben determinati schemi: il
lavoro, la famiglia, la casa, le amicizie e via dicendo. Tutto
questo, ad un certo punto della mia vita, mi è sembrato come un
enorme mare in burrasca, un oceano nel quale io non sapevo più
navigare, e mentre tanti natanti attorno a me proseguivano sulla loro
rotta, io ho fatto del mio vascello una scialuppa e faticosamente ho
cercato un'isoletta sulla quale approdare, tanto per asciugarmi un
po', per riprendermi dallo spavento che mi era preso per paura di
affogare in quelle acque agitate, nelle quali altri continuano a
navigare, dimostrandosi sicuri della propria imbarcazione e fiduciosi
che la rotta che tutti si affannano a seguire sia davvero la rotta
giusta.
Nessuna recriminazione per il mio
passato, nessuna invidia per il loro presente. Se io non avessi
vissuto quel passato e se non mi fossi rifugiato sulla mia isoletta,
ora non starei qui a scorgere, tra i meccanismi delle loro lamentele,
la perfezione dell'amore che provano per il loro presente: ecco la
riflessione del “naufrago” che io sono, fortunato di sentirsi al
sicuro su un'isoletta sperduta dentro a un bar, in un giorno di
ordinaria provincia, nel tiepido aprile del nord Italia.
Ma mentre gli “architetti” oggetto
della mia bizzarra riflessione, a bordo del loro vascello, salpano
per la loro giornata e lasciano il bar, io continuo a sentirmi
“naufrago”. Allora, “che ci faccio qui?”.
Sarà il senso di separazione dal resto
del mondo che tale riflessione provoca in me e a cui non trovo
nessuna giustificazione plausibile, sarà l'aria di primavera che
consiglia anche ai naufraghi di salpare comunque, non so che cos'è;
ma oggi voglio trovare una rotta nuova. Lasciare la mia isoletta per
vedere se posso tornare a navigare senza paura.
Per cominciare voglio cambiare posto.
Parto per una grande città. Le metropoli del nord sono piene di
naufraghi che trovano nuove rotte. A Milano ci sarà solo l'imbarazzo
della scelta.
(Fine primo episodio)
Marco Bertelli
...in attesa della nuova rotta...
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